Con decreto del 19 febbraio 1853 Ferdinando II di Borbone commissionò all’architetto Errico Alvino, un lungo traforo sotterraneo che collegasse il Largo della Reggia (odierna Piazza Plebiscito) a piazza della Vittoria, passando al di sotto della collina di Pizzofalcone. Una prima idea di eseguire una galleria sotto il colle, che però non ebbe esiti né conseguenze concrete, fu elaborata da Antonio Niccolini[1] verso il 1850.
L’opera rientrava nell’ambito delle opere pubbliche (infrastrutture e non) che Ferdinando II aveva ideato, tuttavia il suo vero fine era militare: doveva costituire una rapida via di fuga (verso il mare) per la famiglia reale in caso di tumulti e un rapido collegamento con la reggia per i soldati acquartierati nelle caserme di Chiaia: la Caserma della Vittoria e la Caserma della Cavallerizza.
Alvino prevedeva una galleria a due corsie con due marciapiedi ai lati. I due sbocchi erano a occidente su via della Pace (odierna via Morelli, aperta sempre nel 1853 dallo stesso Alvino), proprio davanti alla caserma della Vittoria, mentre a oriente presso l’attuale piazza Carolina, dietro la basilica di San Francesco di Paola. Il tunnel si sarebbe dovuto chiamare Galleria Reale[2] e entrambe le corsie avrebbero dovuto assumere gli appellativi reali: quella che conduceva a Chiaia doveva essere intitolata Strada Regia mentre quella in direzione opposta Strada Regina.[2]
I lavori cominciarono subito, ad aprile dello stesso anno.[3] Si cominciò a scavare da occidente. Lungo il percorso il traforo intercettò la rete di cunicoli e cisterne legate all’antico acquedotto fatto costruire dal nobile Cesare Carmignano (1627–1629) che serviva la città di Napoli e, in particolare, la zona di Pizzofalcone, ma anche alcune delle numerose cave, tra cui le cave Carafa, incontrate a pochi metri dall’inizio dello scavo. A comportare difficoltà al prosieguo dell’opera furono anche la morfologia irregolare del colle di Pizzofalcone e, in alcuni punti, il mancato consolidamento delle ceneri vulcaniche in roccia solida. Questi fattori costrinsero Alvino a rivedere il progetto, che venne modificato.
Il tunnel, scavato entro il 1855 dopo varie interruzioni, fu inaugurato dal Re il 25 maggio di quell’anno, che rimase molto colpito dall’abilità dimostrata dall’architetto Errico Alvino nel superare, pur lasciandole in attività, 2 cisterne dell’acquedotto con la costruzione di due distinti ponti sotterranei che sono considerati un vanto dell’ingegneria ottocentesca europea. Per l’occasione, il tunnel rimase aperto al pubblico, ignaro degli scopi militari dell’opera, per tre giorni.[3] Tuttavia lo scavo non fu mai ultimato perché proprio nel 1855 s’interruppe per problemi morfologici, a poca distanza dal termine orientale, senza permettere dunque che sboccasse presso piazza Carolina. La morte del Re nel 1859, e le vicende storico-politiche che investirono il suo successore Francesco II delle Due Sicilie, ostacolarono la ripresa dello scavo, che rimase così incompiuto.
Il percorso, nel secolo successivo, fu abbandonato, fino a quando durante la Seconda Guerra Mondiale alcuni ambienti sotterranei furono adoperati e allestiti come rifugio antiaereo dal Genio Militare, elettrificati e forniti di brandine, arnesi da cucina e una serie di latrine. Nel ricovero antiaereo infatti poteva accadere che i napoletani rimanessero anche per molti giorni.
Nel dopoguerra fino agli anni settanta fu adibito a deposito giudiziario comunale dove fu ricoverato vario materiale, come masserizie, moto e auto sequestrate. Molti palazzi soprastanti intanto avevano adoperato le varie cave come discarica abusiva, gettandovi scriteriatamente ogni tipo di rifiuto tramite pozzi e aperture abusive.
Negli anni ottanta le cave Carafa furono adoperate come parcheggio e, durante gli scavi per la realizzazione della galleria della Linea Tranviaria Rapida in piazza del Plebiscito, il Tunnel fu intercettato per errore e comportò la riprogettazione dello scavo. Inoltre si tentò di rafforzare l’opera in corso iniettando nelle cavità materiali stabilizzanti.